Occuparsi del benessere psicologico del personale sanitario

Turni massacranti, contatto quasi permanente con l'epidemia, distanza dai famigliari e dalla propria rete di supporto: sicuramente il benessere psicologico del personale sanitario è messo fortemente alla prova in questi giorni. Cosa è possibile fare per il personale sanitario durante l’emergenza? E cosa fare invece dopo, alla fine dello stato di emergenza?

 

Dopo 12 ore passate respirando in quella mascherina, mi sono spogliata dell’armatura di guerra. Sì, perché sembra di essere in guerra, una guerra contro un nuovo sconosciuto nemico (...). Ripenso ai ricoveri che si sono succeduti uno dopo l’altro, senza sosta, alle persone che non respirano e che strabuzzando gli occhi ti guardano imploranti buone notizie, ai pazienti che non possono comunicare coi cari perché in isolamento (...) Ripenso a quanto mi prudeva la mascherina, alla vista offuscata nella visiera protettiva e al fatto che ormai i presidi di protezione scarseggiano; ai colleghi che mi hanno dato una mano, agli infermieri che si fanno in quattro per cercare di fronteggiare l’emergenza, ripenso al “ti aiuto a fare questo ricovero”. Poi, ripenso anche alla paura. Alla paura di prendere quel virus e di portarlo alla mia famiglia. Alla paura che non ci mettano nelle condizioni di lavorare protetti (...)

~ Federica B., medico oncologo

Ho paura perché la mascherina potrebbe non aderire bene al viso, o potrei essermi toccata accidentalmente con i guanti sporchi, o magari le lenti non mi coprono del tutto gli occhi e qualcosa potrebbe essere passato. Sono stanca fisicamente perché i dispositivi di protezione fanno male, il camice fa sudare ed una volta vestita non posso più andare in bagno o bere per sei ore. Sono stanca psicologicamente, e come me lo sono tutti i miei colleghi che da settimane si trovano nella mia stessa condizione...

~ Alessia B., infermiera

Il personale è sfinito. Ho visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse nonostante i carichi di lavoro massacranti che già avevano (...) ho visto una solidarietà di tutti noi che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per chiedere “cosa posso fare adesso per te?”. Medici che spostano letti e trasferiscono pazienti, somministrano terapie al posto degli infermieri. Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare tutti (...) Non esistono più turni, orari. La vita per noi è sospesa. Da quasi 2 settimane non vedo più volontariamente mio figlio né i miei familiari per paura di contagiarli; mi accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e qualche videochiamata.

~ Daniele M., medico chirurgo

 

Queste sono solo alcune delle dichiarazioni che i nostri operatori sanitari hanno rilasciato in questi giorni di emergenza da Coronavirus, a testimonianza delle difficili condizioni fisiche e psicologiche nelle quali stanno versando.

Durante un’epidemia il personale sanitario è sottoposto a diversi fattori altamente stressanti che ne compromettono lo stato di benessere sia fisico che psicologico: turni di lavoro sfiancanti e prolungati in condizioni di forte tensione, in ambienti sovraccarichi e con carenza di forniture mediche. La visione di immagini traumatiche date dallo stretto contatto con la sofferenza e la morte dei pazienti, nonché la sperimentazione di sentimenti di impotenza di fronte al numero di perdite umane, nonostante il proprio sforzo di prestare aiuto. Assistere alle difficoltà, o alla malattia stessa, dei colleghi, alla mancanza di rinforzi e sostituzioni. La costante esposizione al rischio di contagio, la stanchezza fisica e il burnout (logoramento mentale) e la separazione dai propri cari per motivi logistici o preventivi.

Inoltre, gli operatori sanitari sopportano un particolare peso psicologico ed emotivo nel contesto degli isolamenti e delle quarantene, che comprende il prendersi cura dei pazienti in isolamento ma anche, talvolta, essere messi loro stessi in quarantena nei reparti adibiti e prendersi cura dei pazienti più gravi. Talvolta si trovano in tali situazioni volontariamente, altre volte accade invece in base alle circostanze, poiché gli ordini di quarantena ed isolamento entrano in vigore mentre si trovano sul luogo di lavoro e si ritrovano perciò incaricati di continuare a fornire la loro assistenza mentre loro stessi sono esposti alla malattia e separati dalla propria vita quotidiana. In base a tali condizioni di pressione e ai diversi gradi di coinvolgimento personale con gli eventi pandemici, le emozioni negative più intense provate dal personale sanitario possono perciò essere considerate l’ansia, la rabbia, la tristezza, il senso di solitudine e lo stress correlato all'incertezza degli eventi.

Nonostante vi sia ancora troppa poca attenzione rivolta a questa particolare popolazione, sono stati diversi gli studi condotti in occasione dell’epidemia della SARS del 2003 che ci permettono di avere un’idea più chiara rispetto alle possibili ripercussioni che affrontare un’emergenza pandemica può comportare per il personale sanitario. Statisticamente, l’11% degli operatori sanitari ha sviluppato dei sintomi reattivi allo stress traumatico come ansia, umore deflesso, ostilità, somatizzazione, sia durante che dopo l’emergenza. Per alcuni di questi soggetti (circa il 10%) anche dopo l’epidemia persistono sintomi da stress post-traumatico e livelli generali di stress e di postumi emotivi più alti che nel resto della popolazione; si possono sviluppare condotte disfunzionali come l’abuso alcolico o sintomatologie depressive ed insonnia cronica, in particolare in correlazione ad una storia pregressa di disturbi dell’umore, ad una più giovane età e alle diverse percezioni delle emozioni negative, che tuttavia, con il progredire delle conoscenze riguardo il virus e il ritorno alla quotidianità, sono nella maggior parte dei casi rientrati gradualmente, suggerendo la possibilità di un adattamento psicologico spontaneo.

Cosa è possibile fare per il personale sanitario durante l’emergenza?

Tali evidenze sottolineano la necessità di un intervento volto alla salvaguardia del benessere psicologico del personale sanitario, anche in un’ottica lungimirante, poiché le conseguenze di bisogni inascoltati e ferite emotive si possono trascinare anche per lungo tempo. I principali fattori protettivi per il benessere psicologico possono essere considerati:

Chiarezza 

Linee guida chiare che garantiscano l’attuabilità di un intervento, l’esistenza di precisi piani, politiche e procedure e la possibilità di fare esercitazioni, possono avere un impatto psicologico molto significativo sul personale che deve metterli in atto. Sapere cosa stia accadendo, quali siano i risultati attesi, conoscere la misura in cui inserirsi all'interno dell’intera operazione e avere una chiara idea di quali siano i ruoli da ricoprire e quali le aspettative e le responsabilità, permette agli operatori sanitari di concentrarsi sul loro delicato lavoro. evitando l’ansia provocata dall'incertezza e la paura di sbagliare, conferendo un maggior senso di efficacia personale e del team. Infatti, continui cambiamenti di politiche, criteri di gestione dei casi non chiari ed altre ambiguità producono frustrazione, stress e ansia.

Sicurezza

Data la reale e comprensibile paura di contagio, ripetuti controlli dello stato di salute e precise istruzioni su come utilizzare i dispositivi di protezione, che devono essere garantiti, possono aiutare ad aumentare la fiducia degli operatori che la loro personale sicurezza verrà salvaguardata. Tale tipo di supporto logistico e informativo deve essere fornito sia per quanto riguarda l’ambiente di lavoro che per quello esterno, concernente il ritorno a casa presso i familiari nel massimo della sicurezza possibile, in modo da andare incontro ai loro bisogni basici di garanzia per sé e per i propri cari. 

Comunicazione

In quanto bisogno fondamentale, questa si pone su diversi livelli. In primo luogo, su quello del lavoro, nel quale la promozione di una comunicazione efficace, specialmente tra sottoposti e superiori è essenziale. Essa deve essere a due vie, in quanto i supervisor apprezzano avere la possibilità di fornire feedback e, al contempo, i sottoposti si sentono gratificati e supportati da questi; una comunicazione aperta, inoltre, esalta l’interesse dei superiori per il benessere del personale e diminuisce il senso di abbandono. Rappresentando un fattore di protezione nei confronti dello sviluppo di futuri sintomi post-traumatici, unitamente alla chiarezza delle direttive e alle misure di prevenzione già citate, il lavoro di squadra che permette l’affiancamento tra operatori più e meno esperti, oltre ad aiutare il trasferimento di competenze riduce l’isolamento sociale e promuove un senso di supporto ed interconnessione tra i membri del personale.

L’esperienza di essere un operatore sanitario durante una pandemia può essere sia isolante che stigmatizzante, perciò avere un gruppo di pari con cui condividere l’esperienza determina benefici su multipli livelli, e l’idea di avere la possibilità di parlarne con qualcuno, sia a livello formale che informale, viene molto apprezzata da tutti i professionisti. Il bisogno di supporto e comunicazione si espande però anche al contesto famigliare e degli affetti degli operatori. È infatti importante ricordare che anche loro potrebbero avere dei famigliari malati, dei figli di cui prendersi cura e altre questioni personali che applicano su di loro una forte pressione dall'esterno e che possono portarli a sentirsi divisi tra un senso di dovere verso i propri pazienti e quello nei confronti delle persone a loro care.

È su queste basi che programmi psico-sociali attenti a fornire servizi alle famiglie degli operatori possono essere un’importante risorsa nel supporto a questa categoria e nel prendersi cura del loro senso di moralità. Concedere ed erogare cellulari, laptop e tablet agli operatori e alle famiglie per garantire loro la possibilità di mantenere una comunicazione, così come fornire costanti aggiornamenti via internet, può aiutare i lavoratori a sentirsi ancora connessi con i propri cari e alleviare un po’ della pressione a cui sono sottoposti.

Sostegno psicologico professionale 

Come già detto, il bisogno di condivisione è forte negli operatori durante le emergenze. Qualora lo desiderassero, dei servizi di ascolto e di supporto professionali, anche in remoto, ad esempio attraverso telefoni e tablet, dovrebbero essere garantiti da un sistema amministrativo attento al benessere psicologico dei propri operatori, in prevenzione di fenomeni di burnout.

Essenziale è, ancora una volta, l’informazione da parte di professionisti; al personale devono essere presentate in modo chiaro le possibili reazioni allo stress che potranno sperimentare, durante o dopo l’emergenza, ma anche i servizi di supporto psicologico che saranno per loro garantiti in qualsiasi momento. Inoltre, sarebbero estremamente utili, in senso preventivo, programmi di promozione del benessere che includano tecniche di mindfulness e di rilassamento in quanto possono aiutare gli operatori sanitari a sviluppare capacità di auto-aiuto nei periodi di maggiore stress e, inoltre, una volta apprese, possono anche permettere loro di trasmettere tali capacità ai pazienti.

Opportuna sarebbe anche la promozione di programmi improntati al concetto di resilienza e al potenziamento di strategie di coping funzionali (strategie di adattamento ad una situazione di disagio/sofferenza) nonché alla cura di sé, per quanto possibile. Significativa potrebbe essere anche la mediazione di psicologi nell'ambito del lavoro in team, agevolando una buona comunicazione e collaborazione e fornendo strumenti per il mantenimento di un umore alto all'interno della squadra, nonché nella pianificazione di momenti dedicati alla gratificazione e al riconoscimento degli sforzi e dei sacrifici del personale, enfatizzandone i successi e la tenacia.

E alla fine dello stato di emergenza?

Fornire assistenza agli operatori sanitari all'indomani di un'epidemia è un imperativo complicato, ma cruciale, al servizio della riduzione del peso della sofferenza umana. Le sfide abbonderanno su più livelli, ma non c'è sostituto alla preparazione. La conoscenza della valutazione, della diagnosi differenziale, delle complicazioni e del trattamento aiuterà il fornitore di cure per la salute mentale a sviluppare un approccio terapeutico per questi soggetti che sono già da oggi da considerarsi come un gruppo ad alto rischio per lo sviluppo di sintomatologie di disturbi affettivi, d’ansia, post-traumatici o da dipendenze, all'indomani di una pandemia e dovrebbero ricevere la stessa considerazione di qualsiasi altra popolazione ad alto rischio identificata.

Dovrebbe essere loro garantito un pronto accesso agli interventi psicosociali e alla psicoterapia sia individuale che di gruppo e dovrebbero essere rassicurati sul fatto che le loro famiglie riceveranno lo stesso trattamento. È consigliabile, perciò, aumentare il monitoraggio della salute emotiva per un pronto intervento in questa direzione, date le prove ben documentate del disagio persistente che è possibile che sperimentino.

In ultimo, sembra doveroso considerare che il benessere psicologico del nostro personale sanitario può essere sostenuto anche dai singoli cittadini che hanno la possibilità di manifestare loro supporto, sia concreto che emotivo e, soprattutto, il dovere di non intralciare il loro prezioso lavoro, attenendosi alle regole che, per nostra e loro tutela, ci vengono imposte.

 

Articolo a cura di: dr.ssa Lucinda Spinelli 

 

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Immagine tratta da washingtontimes.com