Comportamenti protettivi di fronte ad una pandemia

Cosa ci aiuta e cosa ci ostacola nel metterli in atto? Oggi più che mai è importante comprendere i fattori che influenzano il comportamento delle persone per poter ridurre la probabilità di infezione, trasmissione e gravità della malattia in caso di pandemia.

Le pandemie comportano costi non indifferenti a livello sanitario ed economico a causa della facilità di trasmissione, dell’assenteismo e della riduzione o modifica dell’attività commerciale. I comportamenti protettivi messi in atto in caso di pandemia possono essere classificati in tre tipologie:

  • preventivi; 
  • evitanti;
  • gestione dei comportamenti patologici.

I comportamenti preventivi prevedono l’attuazione di norme igieniche (come ad esempio lavarsi le mani, tossire o starnutire coprendosi la bocca o il naso con la mano o con un fazzoletto, pulire le superfici ecc.) l’utilizzo di apposite mascherine che riparino le vie respiratorie e il sottoporsi alle vaccinazioni.

I comportamenti evitanti includono evitare le folle, i mezzi pubblici, il lavoro e rispettare le restrizioni relative alla quarantena.

La gestione dei comportamenti patologici fa invece riferimento all'assunzione di farmaci antivirali, alla ricerca di aiuto da parte di un professionista e all'utilizzo di internet o di linee telefoniche per l’assistenza. Alcuni di questi comportamenti sono responsabilità dello stesso individuo altri invece sono decretati dalla legge.

Fattori demografici e comportamenti protettivi

Come riportato qui di seguito, sono state riscontrate alcune associazioni tra fattori demografici (genere, età, etnia, stato di istruzione e stato civile) e comportamenti protettivi.

In sintesi, ciò che è stato riscontrato è che vi sono associazioni dirette tra fattori demografici e comportamenti preventivi ed evitanti, non vi sono invece collegamenti diretti tra fattori demografici e gestione dei comportamenti patologici.

La prima associazione riscontrata è quella relativa al genere e ai comportamenti preventivi ed evitanti. Come viene messo in evidenza da alcuni studi trasversali svolti ad Hong Kong e Singapore, le donne hanno maggiori probabilità di mettere in atto comportamenti preventivi rispetto agli uomini. Lavarsi le mani, coprirsi il naso o la bocca quando si starnutisce o si tossisce, indossare la mascherina protettiva, usare utensili e lavarsi dopo aver toccato superfici contaminate sono alcuni tra i comportamenti protettivi più comuni.

Per quanto riguarda l’associazione tra età e comportamenti protettivi, il bilancio delle prove mostra un’associazione tra l’aumento di età e una maggiore probabilità di attuare comportamenti protettivi; in altre parole, le persone anziane hanno maggiori probabilità di mettere in atto comportamenti protettivi rispetto al resto della popolazione. Quest’associazione può essere spiegata dallo studio di Barr e colleghi (2008) che evidenzia che le persone anziane si sentono maggiormente vulnerabili ad essere colpite da una pandemia.

Per quanto riguarda l’associazione tra etnia e comportamenti protettivi in caso di pandemia vi sono prove insufficienti per trarre conclusioni. La maggior parte degli studi evidenzia che le persone con un livello di istruzione più elevato hanno maggiori probabilità di mettere in atto comportamenti protettivi ed evitanti, nonostante tre studi evidenzino il contrario, ovvero che le persone meno istruite abbiano maggiori probabilità di adottare comportamenti protettivi. L’associazione tra stato civile e comportamenti protettivi è risultata essere inconcludente.

In sintesi, le donne risultano maggiormente propense a mettere in atto comportamenti protettivi rispetto agli uomini. Le persone anziane si percepiscono maggiormente vulnerabili rispetto al resto della popolazione ed è per questo che, al fine di tutelarsi, hanno maggiori probabilità di mettere in atto comportamenti preventivi ed evitanti. Le persone con un livello di istruzione più elevato hanno maggiori probabilità di mettere in atto comportamenti protettivi. Non vi sono invece prove esaustive per trarre conclusioni relative l’etnia e lo stato civile.

Fattori psicologici e comportamenti protettivi

Nel Regno Unito, ad Hong Kong, in Corea, in Australia e nei Paesi Bassi è stata riscontrata un’associazione tra percezione del rischio e messa in atto di comportamenti preventivi come il lavarsi le mani, mantenere una buona igiene personale, disinfettare casa, indossare maschere, rafforzare l’immunità corporea con dieta ed esercizio fisico, essere vaccinati e adottare altri comportamenti precauzionali come il coprirsi naso o bocca se si starnutisce o si tossisce, la disinfezione di utensili dopo l'uso e il lavaggio dopo aver toccato le superfici contaminate.

Le preoccupazioni relative al rischio sono maggiori con il presentarsi di nuove minacce e quando l’individuo non percepisce il controllo del rischio. Entrambi i fattori sono rilevanti in caso di pandemia.

La percezione del rischio è anche associata alla messa in atto di comportamenti evitanti, come evitare luoghi pubblici, ristoranti, negozi, eventi pubblici e persone che hanno viaggiato in paesi con un'alta incidenza della malattia.

Gli studi presi in esame hanno valutato due costrutti di gravità percepita: la possibilità di morire per la malattia e la sua infettività. Queste due convinzioni sono associate alla messa in atto di comportamenti preventivi ed evitanti (come, ad esempio, non uscire, non fare andare i bambini a scuola, evitare la folla, gli ospedali e i viaggi).

È stato inoltre riscontrato che avere maggiore fiducia nell'efficacia dei comportamenti preventivi ed evitanti (in termini di quanto l’individuo ritiene che il comportamento messo in atto possa proteggerlo dalla malattia) è associato a una maggiore probabilità di agire e dunque di attuare questi comportamenti protettivi.

La realizzazione dei comportamenti protettivi deve tener conto di alcune barriere che possono ostacolare la messa in atto degli stessi. Queste barriere riguardano il tempo che la messa in atto del comportamento richiede e la paura relativa agli effetti collaterali dei vaccini e dei farmaci. Lo studio di Morrison & Yardley (2009) ha evidenziato che queste barriere (tempo e paura) potrebbero influire sulla probabilità che si verifichino comportamenti protettivi in caso di pandemia. Inoltre, uno studio trasversale ha mostrato che le persone preoccupate per gli effetti collaterali e la sicurezza di un vaccino o di un farmaco antivirale sono meno propense a sottoporsi all'assunzione dello stesso (Quinn et al., 2009).

L'auto-efficacia percepita fa riferimento al grado con cui gli individui si sentono in grado di svolgere i comportamenti richiesti. Una maggiore percezione di auto-efficacia nell'attuare comportamenti preventivi ed evitanti è associata all’intraprendere questi stessi comportamenti protettivi. Inoltre, lo studio di Cava e colleghi (2005) ha evidenziato un’associazione tra pressione sociale a rispettare la quarantena (in termini di ciò che gli individui pensano l’autorità e la famiglia si aspettino da loro) e la realizzazione di questo comportamento. In aggiunta, è possibile affermare che esiste un’associazione tra segnali interni (sintomi corporei), segnali esterni (campagne mass media) e attuazione di comportamenti precauzionali. Le persone che avvertono dei segnali hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti precauzionali. La presenza di sintomi è il miglior fattore predittivo dell’utilizzo dei servizi sanitari.

Alcuni studi hanno mostrato che gli individui con elevati livelli di ansia di stato hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti preventivi come lavarsi le mani, coprirsi la bocca quando si tossisce, utilizzare una mascherina che ripari le vie respiratorie, utilizzare utensili, lavarsi dopo aver toccato superfici contaminate. Dunque, come mostra lo studio di Leung e colleghi (2005), una maggiore ansia è associata a una maggiore probabilità di messa in atto di comportamenti precauzionali. Una maggiore fiducia nelle autorità in termini di contenimento del contagio è associata ad una maggiore probabilità di messa in atto di comportamenti precauzionali e evitanti da parte degli individui e ad una accettazione dei farmaci anti-virali.

Se le autorità forniscono informazioni incoerenti le persone arrivano a mettere in discussione la credibilità delle informazioni disponibili e ciò influisce sulla loro conformità alla quarantena. Slovic (1999) sottolinea che la fiducia dev'essere vista come emozione chiave, rilevante per il comportamento correlato al rischio. La mancanza di fiducia può avere effetti dannosi in termini di controllo della malattia. L’apertura alla comunicazione da parte del governo e il riconoscimento dell’incertezza sono fondamentali al fine di favorire questa fiducia. Infine, una maggiore conoscenza di come avviene la trasmissione della malattia è associata ad una maggiore adozione di comportamenti precauzionali.

Una maggiore conoscenza di cos'è una pandemia è associata all'intenzione di rispettare la quarantenaIdee sbagliate e mancanza di conoscenza a riguardo risultano variabili da non sottovalutare perché possono portare a adottare comportamenti protettivi precauzionali e di evitamento non necessari o sbagliati come, ad esempio, l’evitamento degli ospedali.

In sintesi, la percezione del rischio aumenta con il presentarsi di nuove minacce e nel momento in cui la persona sente di non avere più il controllo del rischio. Maggiore è la percezione del rischio e maggiori sono le probabilità di mettere in atto comportamenti protettivi. Più si percepisce la malattia come grave e infettiva e maggiori sono le probabilità di mettere in atto di comportamenti protettivi. Più l’individuo ritiene che questi comportamenti possano proteggerlo dalla malattia e più ci sarà probabilità che questi stessi comportamenti vengano messi in atto. Il tempo che il comportamento richiede per essere messo in atto e la paura per gli effetti collaterali che vaccini e farmaci possono causare possono ostacolare la messa in atto dei comportamenti protettivi.

Più un soggetto si sente in grado di svolgere i comportamenti richiesti, maggiore quindi è il suo senso di padronanza e maggiore sarà la probabilità di metterli in atto. Se la pressione sociale a rispettare la quarantena è elevata è più probabile che le persone la rispettino. In aggiunta, le persone che avvertono segnali interni (sintomi corporei) o esterni (campagne mass media) hanno maggiori probabilità di adottare comportamenti precauzionali e di fare uso dei servizi sanitari. I soggetti con elevati livelli di ansia adotteranno con maggiori probabilità comportamenti preventivi.

Infine, è di fondamentale importanza che le persone nutrano fiducia nelle autorità in termini di contenimento del contagio perché questo aiuterebbe a favorire la messa in atto dei comportamenti protettivi. Per accrescere la fiducia è importante che le autorità forniscano apertamente informazioni coerenti, anche in termini di riconoscimento dell’incertezza.

 

Articolo a cura di: dr.ssa Giorgia Tanzini 

 
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Immagine tratta dalla campagna "#fermiamoloinsieme" di Regione Lombardia